Diversa-mente

La strana storia della mia vita, in un racconto a scorrimento

Diversa-mente, non avrei potuto fare

“Smettila di girare così! Sembri autistica!” A mio padre non doveva piacere molto l’idea che io girassi su me stessa continuamente, ma io non riuscivo davvero a capire il perché. Una volta successe che il richiamo della sua voce fosse talmente severo e tonante, che caddi dallo spavento, ritrovandomi improvvisamente con la faccia a terra.

Non realizzai subito quello che era successo, lo capii solo quando vidi la figura di mio padre tutta storta e, a meno che lui non avesse imparato a stare in piedi come Michael Jackson, ero io quella a trovarsi in posizione orizzontale.

“Smettila di girare così! Sembri autistica!” – quella volta parve solamente un semplice richiamo, l’ennesimo che mi intimava di smettere un’attività che mi dava sollievo e benessere.

‘Ma chi? Io?’ pensai mentre cercavo di fermare quel movimento vorticoso che mi aveva già completamente avvolta. Di cosa stava parlando mio padre? Cos’era questo ‘autismo’? Quando giravo, io sentivo le farfalle salirmi dallo stomaco e arrivare fino alla testa, era come una cura a tutti i mali e alle cose che mi si infilavano in testa continuamente, riempiendomi di pensieri e preoccupazioni.

Quando mi fermai, quella volta senza cadere, la stanza stava ancora ruotando e le figure frastagliate che mi si presentavano alternativamente davanti agli occhi parevano uscire da un caleidoscopio difettoso; grazie ai miei movimenti ero riuscita ancora una volta a trasportarmi nel Paese delle Meraviglie, ma uscirne era sempre la parte più difficile. Quando la stanza cessò di girare vidi chiaramente lo sguardo di disappunto di mio padre. Non so se gli desse fastidio il mio ruotare, o se avesse paura che mi facessi male o ancora, se fosse preoccupato del fatto che in quei momenti sembrassi davvero autistica. Fatto sta che io sono autistica e ci sono voluti trentatré anni di vita per capirlo. Quando ho preparato il materiale per la diagnosi, mi sono tornati alla mente tutti quegli episodi che allora non avevano alcuna specifica importanza, ma che visti alla luce delle nuove consapevolezze che stavo acquisendo, davano finalmente un senso a tutta la mia vita.


Da che ho memoria ho sempre adorato intorpidire la mia mente girando fino allo sfinimento. Sicuramente sono andata avanti a fare questa cosa, senza alcuna vergogna, fino ai 10 anni. C’è una vecchia leggenda educativa che dice che fino a 10 anni quasi tutto è concesso: muovere le mani velocemente per lo stress, alzarsi durante le lezioni per noia ed incapacità di stare seduti a lungo, rifiutarsi di mangiare praticamente tutto, odiare la doccia, azzuffarsi violentemente con i compagni di classe, non guardare negli occhi le persone quando si parla, non salutare gli sconosciuti, non mettere le calze. Nonostante continui rimproveri e punizioni, io ero protetta dalla mia intelligenza e dalla mia capacitò di osservazione, le quali mi permettevano di ottenere voti altissimi a scuola e di cullarmi nel mio status di bambina viziata da nonni e zii. 

Ma il mio tormento era la continua ricerca di attenzioni per conquistare coloro che sembrava io non fossi in grado di accontentare mai. Non sapevo che farmene della mia intelligenza se nessuno voleva vederla, se passava in secondo piano rispetto ai miei doveri di brava figlia, di brava nipote, di bambina educata, di giovane cattolica e così via. Io leggevo troppo e immaginavo troppe cose, vivevo in un mondo di illusioni, e purtroppo non ho mai perso questo vizio. Pensavo che se nessuno mi avesse capita, o mi avesse dato attenzione, io avrei potuto utilizzare i miei disegni e le mie storie per farmi notare ed urlare a tutti le mie idee. 

Tutto è iniziato per ‘colpa’ della mia maestra di italiano e disegno; lei in me aveva visto un’artista, una scrittrice e mi incoraggiava a fare sempre meglio, talvolta anche con severità. Non dimenticherò mai il suo sorriso caldo e la sua voce lieve, mi trasmettevano tanta tenerezza e potevo capire chiaramente quanto lei credesse in me, anche quando la facevo impazzire con le mie lacune nella grammatica italiana. 
La mia maestra di matematica e scienze era più dura, meno incline a complimenti gratuiti e facili elogi, ma era fenomenale. 
Lei mi ha insegnato il ragionamento logico, mi ha insegnato a pensare da sola, a trarre le mie conclusioni e delle conclusioni partire per trovare il senso alle teorie. A volte mi annoiavo durante le ore di matematica, io avevo visto tutti i segreti della tabellina del nove ancora prima che lei ci incitasse a cercarli, ma non potevo sempre rispondere io, non potevo usare la scuola per colmare l’affetto che mi mancava a casa, così subivo con rabbia e tristezza gli interventi degli altri, mi dava quasi fastidio vedere che piano piano capivano le cose che io avevo già capito.

Se non avevo nemmeno il vantaggio dell’intelligenza allora cosa avrei fatto? Non ero bella, non ero simpatica e non ero agile; lo avevo capito fin da subito che non sarei mai piaciuta alle persone, e per questo lottavo con le unghie e con i denti per essere la migliore. 

Alla fine successe quello che non avrei mai potuto prevedere: durante la quinta elementare iniziò, il mio tracollo emotivo, e con esso cominciò anche quello dei miei voti, che pur mantenendosi sopra la media, non furono più l’eccellenza che mi ero abituata a dare e ricevere.  Anche l’esame di quinta non andò benissimo, non ottenni il massimo dei voti e così, completamente incapace di affrontare il fallimento, mi disperai, e per i cinque anni successivi vissi nella mediocrità scolastica e sociale.


Nonostante alcune difficoltà, per me la scuola è sempre stato un luogo sicuro, il tempio sacro della conoscenza e la mia pista di decollo per prendere il volo verso tutte le cose che avrei voluto fare.
Purtroppo, questo non mi ha protetta dalle prese in giro per via del mio fisico, magro e goffo; infatti ero talmente spigolosa e sgangherata da farmi continuamente male, inciampare e perdere facilmente l’equilibrio. Parte della mia debolezza era anche dovuta al fatto che io mangiassi malissimo e su questo purtroppo solo la diagnosi di autismo è riuscita a darmi delle risposte molti anni dopo.
Ho mantenuto la mia corporatura longilinea e sgraziata fino all’adolescenza (poi mi è rimasta solo la sgraziataggine!), in generale mangiavo poco, ma ero in grado di ingurgitare quantità impressionanti delle cose mi piacevano. Probabilmente la mia necessità di muovermi in continuazione bruciava tutto quello che mandavo giù, e nonostante mangiassi interi sacchetti di patatine e i vasi pieni di caramelle Rossana, raramente mi sentivo male o troppo piena.
A pensarci ora invece mi viene la nausea! 
Allora quando mi piaceva una cosa, ero capace di mangiarla in continuazione, tutti i giorni, ad ogni pasto e vista la mia debole figura, nessuno osava fermami.
Ovviamente ci sono state tantissime litigate, pianti, castighi e rimproveri, a quel tempo non c’era verso di spiegare alle persone adulte della mia vita che il formato di pasta chiamato sedanini per me era vomitevole, mentre le penne, fatte esattamente con lo stesso grano, erano accettabili.
E pareva ancor più strano che uno scricciolo come me si strafogasse di cucina tipica pugliese, ma che si sentisse male davanti alla minestra d’orzo per via del suo odore e della sua consistenza. 
Il mio rapporto con il cibo ha subito molte evoluzioni negli anni, ma non è mai stato esattamente facile, tanto che ancora oggi ci lavoro ogni giorno.
Comunque, quando ero bambina non c’era modo di capire quello che mi succedeva nel corpo e nella mente e così ho dovuto sentirmi chiamare “viziata” “schizzinosa” “disinteressata ai bambini africani” e tanto altro.
Io in realtà cercavo di collaborare, cercando di assaggiare tutto, ma ero completamente in balia dei miei sensi: se un cibo aveva un sapore, un odore, una consistenza, un “rumore” o un aspetto sgradevole, io non riuscivo a mangiarlo.
Ricordo ancora quando all’asilo, le suore mi costrinsero a mangiare i finocchi (non sto accusando le suore in generale ovviamente) e io li vomitai direttamente sul tavolo dove stavo mangiando insieme ai miei compagnetti. 
Io avevo provato a spiegare loro che l’odore e la consistenza dei finocchi cotti per me era insopportabile, ma loro non mi credettero, anzi si arrabbiarono molto per quel mio capriccio e sono sicura che se mia madre non fosse intervenuta, me li avrebbero riproposti la settimana seguente.Ognuno è figlio della sua epoca, ed allora quello era il modello educativo, quindi per quanto sia stato difficile e lo sia ancora oggi, non posso davvero biasimare nessuno se non la mancanza di un insieme di conoscenze che avrebbero risparmiato a me e ad altri tante sofferenze


I miei problemi con il cibo non erano certo degli alleati quando si trattava di forza fisica e resistenza, ma sinceramente non ne erano nemmeno l’unica causa.
Non ricordo quante volte io sia caduta stando in piedi, stando seduta, mentre andavo in bicicletta, mentre ero ferma seduta sulla bicicletta, camminando, correndo, giocando, non importava il tipo di attività, io cadevo spessissimo.
Mi capitava frequentemente di perdere l’equilibrio e di non sentirmi stabile e questo purtroppo mi ha creato moltissimi disagi ed umiliazioni.
I miei compagni di classe non mi volevano mai nella loro squadra di calcio o di pallavolo e le ore di ginnastica per me erano sempre traumatiche ed avvilenti, al punto che l’educazione fisica era la materia dove avevo sempre il voto peggiore.
Purtroppo, allora non avevo una grande capacità di propriocezione e spiegare agli adulti il mio dolore fisico ed emotivo era una battaglia inutile e mortificante. Ogni notte sentivo delle terribili fitte salirmi dai talloni fino alle ginocchia, e mi rigiravo continuamente nel letto alla ricerca di una posizione comoda. Il pediatra definì quei dolori come i classici ‘dolori della crescita’, ma io non ero molto convinta di quella spiegazione sommaria e senza ulteriori approfondimenti la questione dal punto di vista medico si chiuse velocemente.
Le mie performance atletiche così peggioravano di anno in anno e arrivai alle scuole medie completamente sconfitta e con la convinzione che non avrei mai trovato un’attività adatta alle mie capacità e caratteristiche fisiche.
Dopo qualche tentativo finito miseramente con il minibasket, la pallavolo e la ginnastica artistica, chiesi ai miei genitori di escludermi dalle attività pomeridiane, almeno fino a quando mi sarei sentita pronta a ritentare con qualcos’altro.
Nonostante fossi una bambina, per me era una grande sofferenza vedermi così debole e poco performante nell’ambito sportivo, anche perché osservando il mondo intorno a me, mi sembrava di capire che si trattasse di un’attitudine fondamentale per la vita, senza la quale mi sarei sempre dovuta ritenere incompleta e abbastanza sfigata.
Io ero “normale” solo nella mia cameretta, dove non c’era competizione o confronto. In quel luogo magico e sacro, io potevo correre, ballare, saltare e ruotare su me stessa senza dovermi sentire stupida o esclusa. Muovermi mi piaceva, su questo non c’era alcun dubbio, ma ci sono voluti tantissimi anni prima che io imparassi a comprendere e controllare il mio corpo (anche se ancora oggi ho i miei problemi) e purtroppo questa sofferenza ha lasciato un grande dispiacere e un forte senso di tenerezza per la bambina che ero e per tutti quelli che come me si sono sentiti inadatti per un motivo o per l’altro.